Maria Elisa Campanini
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Workaholic, se il lavoro diventa una droga

Col termine di “workaholic” e di “work addiction” si definisce una sindrome, ormai sempre più diffusa, teorizzata dallo psicologo americano Wayne Edward Oates nei primi anni 70. Si tratta di un attaccamento al lavoro eccessivo e a volte compulsivo fino all’ossessività, fatto di ritmi intensi e fuori controllo, energie investite solo nelle prestazioni professionali, con dedizione assoluta, ricerca della perfezione e incapacità di delegare. Ne consegue un progressivo impoverimento della vita sociale, familiare e sentimentale, e l’azzeramento di hobby, attività sportive o interessi personali extra-lavorativi. La vita del workaholic ruota attorno al mondo professionale, e per molti di questi soggetti i ritmi intensi e il sentirsi costantemente sotto pressione provocano una sorta di “picco adrenalinico”, seguito da stress, ansia e stanchezza; c’è anche chi manifesta un forte senso del dovere e spirito di sacrificio, tanto da sentirsi in colpa nei momenti di inattività.

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L’APA (American Psychological Association) considera tale disturbo un’autentica patologia, una dipendenza – come quella da alcool, droga, gioco d’azzardo o shopping compulsivo – che può causare stati di stress, difficoltà relazionali e problemi di salute. Negli ultimi anni questo disagio è aumentato sensibilmente anche a causa delle tecnologie (computers, smartphone, tablet, social network) che permettono di essere sempre connessi e sempre reperibili, tanto da cancellare il confine tra ufficio e casa, lavoro e tempo libero.

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Ma quali sono le cause di una dedizione al lavoro così totalizzante e assoluta? Ovviamente non si può generalizzare e non esiste un unico profilo di workaholic, anche se nella storia di ciascuno una simile patologia ha di solito radici molto profonde e lontane nel tempo, che nei casi più complessi necessitano di un percorso terapeutico. Chi vede nel lavoro l’unica fonte di piacere e gratificazione può “esorcizzare”, con tali modalità, un senso di insicurezza, inadeguatezza rispetto alle aspettative altrui e sfiducia nelle proprie capacità, un bisogno di approvazione che trova appagamento e compensazione nei riconoscimenti professionali.

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Altre dinamiche legate alla “work addiction” possono riguardare la paura del fallimento e l’ansia da prestazione; il senso di colpa e responsabilità o lo spirito di sacrificio portato all’eccesso; l’ipercontrollo, la rigidità e il perfezionismo; il bisogno di “riempire un vuoto” attraverso il lavoro; oppure un tentativo inconscio di sfuggire a problemi familiari o relazionali, al punto da “anestetizzare” la sfera emotiva per evitare di guardarsi dentro. In ogni caso, quando si è così rigidi e duri con se stessi da imporsi ritmi di vita e di lavoro esagerati e massacranti, l’accumulo di tensione si manifesta inevitabilmente anche a livello fisico, con disturbi psicosomatici di vario genere: mal di testa, insonnia, mal di stomaco, problemi intestinali, sbalzi di pressione, rigidità e dolori al collo, alle spalle e alla schiena.

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Parallelamente a un percorso psicologico di comprensione ed elaborazione del disagio, la floriterapia può offrire, a chi ha un rapporto disfunzionale con il lavoro, un aiuto significativo grazie ad alcuni rimedi mirati che agiscono su alcune dinamiche di base caratteristiche della work addiction.

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                                     Aloe Vera

Nel repertorio dei fiori californiani sono note le proprietà di Aloe Vera, un’essenza molto utile alle persone che abusano delle proprie energie e che si buttano a capofitto nelle attività professionali senza alcun senso del limite, sottoponendosi a ritmi innaturali e massacranti. E’ un rimedio efficace per i soggetti “drogati di lavoro” abituati a saltare i pasti, dormire poche ore per notte, abusare di caffè o sigarette per tenersi su e non sentire la stanchezza; per chi tende a sacrificare tempo libero, affetti e vita privata in nome della carriera e del successo. Il rischio è quello di logorare l’organismo e ritrovarsi improvvisamente distrutti, al limite del crollo, stanchissimi e in uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica. Aloe Vera – molto efficace in presenza di stanchezza, esaurimento, stati di stress da sovraccarico e intenso affaticamento psicofisico – insegna a ritrovare il senso del limite, a diventare più equilibrati nella gestione delle proprie forze e aiuta il workaholic a recuperare energia e vitalità, riportando equilibrio anche nelle modalità alimentari e di ritmo sonno-veglia.

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Rock Water

                   Rock Water

Le persone rigide e ipercontrollate, talmente dure, severe e rigorose con se stesse da evitare i piaceri della vita perché non interferiscano con il lavoro, possono trovare grande giovamento da Rock Water, un rimedio di Bach indicato per chi si impone regole inflessibili a cui attenersi strettamente, senza distrazioni. Perfezionisti, esigenti con se stessi, pronti ad assumere più lavoro di quanto pos­sono e incapaci di concedersi pause o momenti di riposo, sono vittime di un senso del dovere al limite del sacrificio e costringono il loro organismo a uno sforzo pesante e prolungato. L’essenza permette di sciogliere gradualmente le rigidità fisiche e psicologiche; di sviluppare una maggiore elasticità e flessibilità mentale; di diventare più indulgenti verso se stessi e capaci di lasciarsi andare agli aspetti piacevoli della vita. Il rimedio può essere associato a Cherry Plum per diminuire l’ipercontrollo e la compulsività per il lavoro, tipici del workaholic, mentre White Chestnut (o l’equivalente australiano Boronia) aiutano a staccare la mente dai pensiero ossessivamente orientato sul lavoro.

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Monga Waratah

           Monga Waratah

Il fiore australiano Monga Waratah  è invece fondamentale per “rompere” il circolo vizioso della dipendenza e dell’abitudine a cercare all’esterno una compensazione al disagio emotivo e al vuoto interiore. Questo rimedio è ottimo per contrastare l’insicurezza e la vulnerabilità emotiva, aiuta a prendere coscienza dei propri conflitti profondi e a “vedere” il problema in tutta la sua gravità: riconoscere il disagio è infatti il primo passo per mettere in atto qualunque cambiamento. L’essenza trasmette una grande energia trasformativa e aiuta rafforzare l’autostima, l’assertività, la volontà e la capacità di autonomia.

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